Ma non eravamo già nell’era del Futuro Secondo Sesso, dove, dopo un paio di millenni nel ruolo di angelo del focolare, finalmente la donna si stava avvicinando alla libertà, cosa impensabile al tempo della de Beauvoir? Ma niente è come sembra, e per capire bisogna andare al sodo.
Prendiamo il gioco intelligente Sapientino, quello con le domande e le risposte su matematica, geografia, scienze etc. Si direbbe un gioco unisex. Ma nella pubblicità e nella confezione appaiono solo maschietti. Esiste infatti anche Sapientina, con mini donnine imbellettate ritratte sulla scatola. Le domande vertono sul magico mondo di Barbie… Quindi, fatemi capire, nel 2007 i bambini vengono stimolati ad imparare la fotosintesi e le bambine della stessa età i nomi degli amichetti delle bambole?
Oh mio Dio!
Iniziate da oggi a fare caso alle pubblicità, non solo di giocattoli, ai cartoni animati, ai giornaletti per i più piccoli, ai contenuti del web e della televisione, ai videogiochi e persino ai libri scolastici delle elementari.
Che mi venga un colpo, dal 1973, anno in cui la Gianini Belotti scrisse Dalla parte delle bambine, primo atto di questo stesso saggio, niente è cambiato.
Il messaggio che passa è: le femmine devono vivere in un mondo rosa pastello, truccarsi dai 4 anni in su, essere sexy, saper ballare e cantare, usare il corpo e non i neuroni per andare avanti. Non solo. Devono anche essere materne e curare bambolotti, non sporcarsi e saper spadellare in cucina.
Avete mai visto in uno spot una bimba che corre in bici guadando pozzanghere e sbucciandosi le ginocchia?
Avete mai sentito una piccoletta che pubblicizza un gioco dicendo “da grande farò l’astronauta”?
A dire la verità è difficile persino trovarne una che non sia bionda, boccolosa e in adorazione davanti allo specchio della sua cameretta, abbagliata dai brillantini delle sue nuove Lelly Kelly.
Eh no, cari miei. Non diamo la colpa alla tv, a internet, agli editori o ai videogiochi. I media amplificano quello che la società propone, non inventano niente.
Qua siamo di fronte ad un problema di simboli culturali, che anche dopo l’emancipazione femminile evidentemente non sono mutati.
D’altro canto è innegabile che le cose siano migliorate. Le donne studiano, fanno anche lavori da uomini, parlano e scrivono di sesso e si sono redente con “Sex and the City”.
Ma c’è ancora un bel po’ di strada da fare.
A parità di mansioni e ruolo nel mondo professionale, le femmine ad esempio guadagnano meno. Siamo uguali agli uomini finché ci comportiamo come uomini. E infatti il rischio è di cadere nell’errore di un certo femminismo: rincorrere il mondo maschile, invece di trovarne uno privo di stereotipi culturali. Spero non ci metteremo altri duemila anni.
Loredana Lipperini, Ancora dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano, 2007