Diventare ciò che si è letto…

articolo di Anna Taglioli

Il 23 aprile è la Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore promossa dalla Conferenza generale dell’Unesco nel 1995. La data scelta ha un grande valore simbolico, proprio in questo giorno infatti nel 1616, sono morti tre tra i più grandi scrittori della letteratura mondiale: Miguel de Cervantes, William Shakespeare e Garcilaso Inca de la Vega.
L’idea di una giornata dedicata al libro nacque per la prima volta in Catalogna, promossa dallo scrittore valenziano Vincent Clavel Andrés. Fu re Alfonso XIII, il 6 febbraio 1926, a istituire una Giornata del libro spagnolo celebrata in tutta la nazione, spostata dal 7 ottobre e al 23 aprile, giorno della festa del patrono della Catalogna, San Giorgio. In questa ricorrenza in Spagna gli uomini regalavano alle proprie donne una rosa, è diventata così consuetudine tra i librai catalani dare in omaggio una rosa ai clienti per ogni libro comprato.
L’obiettivo della Giornata è quello di promuovere la lettura, la pubblicazione dei libri e la protezione della proprietà intellettuale attraverso il copyright. Un’occasione, in tempo di crisi, per ribadire che la lettura è un obiettivo concreto per lo sviluppo economico e democratico; la lettura come strumento di apprendimento, approfondimento e conoscenza permette di superare incertezze e precarietà connesse ad una difficile situazione di individualizzazione e globalizzazione, avvicinandoci a realtà e umanità distanti.
Prendendo come criterio le iniziative culturali promosse e i progetti presentati in occasione di questa giornata, l’UNESCO nomina ogni anno, dal 2001, una Capitale mondiale del libro. La prima fu Madrid, l’anno successivo Alessandria d’Egitto, poi New Delhi, Antwerp, Montreal, Torino, Bogotà, Amsterdam, Beirut, Ljubljana, Buenos Aires e Yerevan e così via. Quest’anno infine è stata scelta la  Nigeria, per la sua attenzione ai giovani e l’impatto che avranno  i libri, la lettura, la scrittura e la pubblicazione sul miglioramento del tasso di alfabetizzazione del Paese.
Il successo dell’evento dipende del sostegno ricevuto da tutte le parti interessate (autori, editori, insegnanti, bibliotecari, istituzioni pubbliche e private, ONG umanitarie e mass media), che sono mobilitate in ogni paese dalle Commissioni Nazionali UNESCO, Club UNESCO, Centri e Associazioni, delle Scuole Associate e Biblioteche, e da tutti coloro che si sentono motivati a lavorare insieme per questa celebrazione.

In occasione di questa giornata proponiamo la lettura di alcuni libri di recente acquisizione, presenti nella nostra biblioteca, sempre aperta, con gli orari scolastici stabiliti (prime e ultime due fasce orarie dal lunedì al sabato), dove potete venire per consigli, confronti, per sbirciare i nuovi arrivi e sfogliare le pagine di qualche libro che vi incuriosisce.

Tra i libri da poco acquisitati esercita un fascino particolare per le nuove generazioni Cose che nessuno sa di Alessandro D’Avenia che racconta i misteri e le incomprensioni di una vita che si intreccia improvvisa e veloce. Si tratta della storia di Margherita, una quattordicenne pronta ad entrare al Liceo, appesa a quella paura tipica di chi sta per affrontare il fascino e le minacce del futuro. Sarà l’entusiasmo della compagna di banco Marta, la profondità di Giulio, il ragazzo più misterioso della scuola e le parole di un giovane professore a dare un’ancora a Margherita, messa di fronte ad una nuova tempesta, la separazione dei suoi genitori e l’allontanamento del padre.

Quella mattina rimase sola con suo padre. Non sentì altre voci. Suo padre le parlava, ma lei non capiva nulla, era come se il mare le fosse entrato in testa. Avrebbe voluto ascoltare ogni parola, ma non riusciva. Lui le inumidiva le labbra, le accarezzava il viso, le baciava la fronte, le sussurrava qualcosa all’orecchio. Margherita cercava di avanzare sul filo sottile, ma rimaneva sempre allo stesso punto. E’ il pezzo forte del funambolo: la camminata ad occhi bendati. La camminata della morte, la chiamano. Lei camminava e non vedeva nulla, neanche i propri passi. Si sentiva così sola su quel filo. Non si posavano più neanche gli uccelli, che prima le facevano un po’ di compagnia. Anche il gatto bianco era sparito. Era davvero sola. Attendeva che qualcuno la prendesse in braccio e le dicesse: adesso basta camminare, adesso ti porto io.

Un altro libro interessante è Open di Agassi, uno dei più grandi campioni di tennis di tutti tempi che racconta la sua storia, la storia di un ragazzino che non sapeva chi era e si ribellava al fatto che fossero i grandi a dirglielo. Il racconto aperto e sorprendente di chi il tennis lo odiava, ma era costretto a giocarci dal padre: “Se lui dice che giocherò a tennis, che diventerò il numero uno, quello è il mio destino, tutto ciò che posso fare e annuire e obbedire”. Così la vita di Agassi ci appare piena di rabbia e frustrazione, ma anche di momenti di estrema gioia e serenità e quando in giro per il mondo, con i suoi amori e i suoi incontri, arriverà a diventare il numero uno del tennis, si sentirà vuoto, vuoto e insoddisfatto fino a quando capirà cosa lo fa sentire bene: aiutare gli altri. Il tennis diventerà allora il mezzo per il suo progetto educativo, costruire una scuola di eccellenza in un quartiere a rischio di Las Vegas. Capirà allora e solo allora che quello che attraversiamo e che ci sceglie va rispettato comunque e che dal rispetto arriva la risposta a tutto…

Cambiare.
E’ ora di cambiare, Andre. Non puoi andare avanti così.
Cambiare, cambiare, cambiare – me lo ripeto diverse volte al giorno, ogni giorno, mentre imburro il mio toast mattutino, mentre mi lavo i denti; non è tanto un monito quanto una cantilena tranquillizzante. Lungi dal deprimermi o dal farmi provare vergogna, l’idea di dover cambiare radicalmente, da capo a piedi, mi ridà l’equilibrio. Una volta tanto non avverto quel dubbio assillante che segue ogni mia risoluzione. Questa volta non fallirò, non posso, perché o cambio adesso o mai più. L’idea di fossilizzarmi, di rimanere questo Andre per il resto della mia vita, ecco ciò che trovo davvero deprimente e che mi fa vergognare.
Eppure. Le nostre migliori intenzioni sono spesso frustrate da forze esterne – forze che noi stessi abbiamo messo in moto tanto tempo prima. Le decisioni, soprattutto quelle sbagliate, generano una loro inerzia e fermare l’inerzia può essere un bel casino, come ogni atleta sa bene. Anche se giuriamo di cambiare, anche se siamo dispiaciuti e facciamo ammenda dei nostri errori, l’inerzia del passato continua a trascinarci per la strada sbagliata. L’inerzia governa il mondo. L’inerzia dice: Calma, non così in fretta, sono io che comando qui…

Un libro da linguaggio fresco, senza filtri e scorrevole è Libertà di Jonathan Frazen, uno dei più grandi romanzieri americani viventi, che aiuta senza difficoltà a dare una immagine della situazione umana e sociale negli Stati Uniti dei primi anni Duemila. Ironico e cinico ritratto di una famiglia, di più generazioni che si muovono in un modo profondamente mutato da un finto benessere, dove le vicende private sono sempre anche pubbliche. Il ritmo è dato anche dai continui flashback e flashforward, un andar indietro e avanti attraente che permette di comprendere le scelte e le dinamiche psicologiche dei personaggi.
Tutti i protagonisti cercano la libertà e constatano di non sapere bene cosa sia, perché condizionati da schemi mentali di cui non si è coscienti. Ma in fondo Walter e Patty (i due principali attori del libro) riescono ad essere felici, ad accogliere e ad accettare i loro errori, forse questa è la vera libertà, riuscire a compiere gli errori e così facendo a conoscere se stessi, distruggere le illusioni, scoprirsi reali. Il romanzo termina con un capitolo bellissimo che si collega al primo, se all’inizio Patty era vista dai vicini affascinantissima, vitale e raggiante, alla fine Walter è visto dai vicini di casa come un uomo solo, ossessionato dall’ambientalismo, triste. Sembra chiudersi un ciclo, ma in realtà per Walter è solo la fine di una fase e dunque un nuovo inizio, perché in fondo i grandi momenti sono quelli in cui “un uomo muore e un altro prende il suo posto”. Ed è qui che si sofferma Frazen, sul modo di affrontare un trauma, una fine, sulla capacità di modificarsi dopo una crisi e di rinascere, necessità umana ma anche politica, necessità di una America (di un mondo potremmo dire) dilaniata dal terrorismo, dalla crisi ambientale, dalla paura. Rinascere e scoprirsi sempre vitali, uscire dalla solitudine e percepire la connessione con gli altri e con il mondo.

E su questa traiettoria vi suggerisco, solo per i lettori ‘non tradizionali’, il capolavoro di Jonathan Safran Foer Molto forte incredibilmente vicino, un viaggio, quello del piccolo Oskar che ha perso il padre nell’attacco alle Torri Gemelle, un modo di attraversare il dolore uscendone migliore di come ne si è entrati. Una storia che fa commuovere, sorridere e riflettere nella sua irriverenza e che lascia senza fiato, come avvolti in una magia. Dalla creatività di Oskar alla consapevolezza di ciò che ha perduto, dal senso di colpa fino ad immaginare il perdono…
Alcuni estratti del libro per entrare nelle pagine di un viaggio alla ricerca di una serratura che possa aprire la chiave trovata  in una busta, nell’armadio del padre,  sopra la busta una scritta “Black”…Oskar attraverserà i cinque distretti di New York per cercare tutti i Black, per ricomporre, per capire, per non lasciare andare e se quell’attraversamento non lo condurrà verso chi se ne è andato per sempre, gli porterà nuovi doni per ‘resistere’…

E un bollitore per il tè? Con il beccuccio che, all’uscita del vapore, si apre e si chiude come una bocca e sibila belle melodie o recita Shakespeare o semplicemente si scompiscia dal ridere con me? Potrei inventare un bollitore che legge con la voce di papà, così riuscirei ad addormentarmi, o magari un intero servizio di bollitori che cantano il ritornello di Yellow Submarine, una canzone dei Beatles… E dei piccoli microfoni? Tipo che tutti ne inghiottiamo uno e loro diffondono i suoni del nostro cuore grazie ai piccoli altoparlanti che potremmo tenere nella tasca della salopette? Di sera, andando in strada con lo skateboard, potremmo sentire i battiti di tutti gli altri, e gli altri potrebbero sentire il nostro, come una specie di sonar[..]

Ci sei? Ci sei? Ci sei?
Lui aveva bisogno di me e io non riuscivo ad alzare la cornetta. Non ci riuscivo, non ce la facevo. Ci sei? Lo ha domandato undici volte. Lo so, perché le ho contate. E’ una di più di quelle che posso contare sulle dita. Perché continuava a chiederlo? Aspettava che qualcuno tornasse a casa? E perché non chiedeva “C’è qualcuno?’…’Ci sei?’ vuol dire una persona sola. A volte penso che sapeva che ero lì. Forse tentava solo di darmi il tempo per trovare il coraggio di alzare la cornetta. E poi, c’era troppo spazio fra una domanda e l’altra. Ci sono quindici secondi fra la terza e la quarta, ed è l’intervallo più lungo. In sottofondo si sente la gente che urla e che piange. E poi un rumore di vetri che si rompono, ed è anche per questo che mi chiedo se stavano saltando giù. […]

Ho visto le cartine, i disegni, le foto prese da giornali e riviste e da Internet, e quelle che avevo scattato io con la macchina del nonno. C’era tutto il mondo intero lì dentro. Finalmente ho trovato il corpo che cadeva.
Era papa?
Forse.
Chiunque fosse, era qualcuno.
Ho stappato le pagine dal libro.
Le ho rimesse in ordine al contrario, in modo che l’ultima fosse la prima e la prima fosse l’ultima.
Le ho sfogliate velocemente e sembrava che l’uomo stesse alzandosi in cielo.
E se avessi avuto altre fotografie, sarebbe volato dentro una finestra e dentro la torre, e il fumo sarebbe stato aspirato nel buco da cui l’aereo stava per uscire.
Papà avrebbe lasciato i suoi messaggi a rovescio finché la segreteria sarebbe stata vuota, e l’aereo sarebbe volato all’indietro fino a Boston.
Papà avrebbe preso l’ascensore per scendere in strada e schiacciato il bottone per l’ultimo piano.
Avrebbe camminato indietro fino al metrò e il metrò sarebbe andato indietro nel tunnel fino alla nostra fermata…
Papà sarebbe tornato a casa camminando all’indietro mentre leggeva il “New Tork Times” da destra a sinistra.
Avrebbe sputato il caffè nella tazza, si sarebbe sporcato i denti e si sarebbe messo i peli in faccia con il rasoio.
Sarebbe tornato a letto, la sveglia avrebbe suonato al contrario e lui avrebbe fatto sogni al contrario.
Poi si sarebbe alzato alla fine della sera prima del giorno più brutto.
Sarebbe indietreggiato in camera mia fischiettando al contrario I Am the Walrus
Sarebbe stato nel letto con me
Avremmo guardato le stelle sul soffitto, che avrebbero allontanato la loro luce dai nostri occhi.
Io avrei detto: “Niente” alla rovescia
Lui avrebbe detto: “Si pulce?” alla rovescia.
Io avrei detto: Papa?” alla rovescia, che non è così diverso da papà detto normalmente.
Mi avrebbe raccontato la storia del sesto distretto, dalla voce nel barattolo fino all’inizio, da “Ti amo” a “Una volta, ma tanto tempo fa…”
E saremmo stati salvi.