L’amore raccontato. Si sceglie ciò che manca o ciò che aggiunge?

Articolo di Anna Taglioli

L’amore si vive non si racconta, sembrerebbe suggerirci la vita, quando si è innamorati non si scrive, non si narra il sentimento, lo si sperimenta nelle sue forme e nelle sue traiettorie, non c’è tempo né voglia di soffermarsi a riflettere su qualcosa che ci attraversa; ma quando l’amore si allontana, quando l’amore si mischia alla quotidianità e diventa più ambiguo e si apre al dolore, alla sofferenza, all’immaginazione, in quel momento sì, scrivere ci permette di elaborare, di fermare il tempo, di entrare nelle pieghe di quelle emozioni. Scrivere e/o leggere, ritrovare i tuoi stati d’animo dentro le parole che qualcun altro ha saputo trovare e scegliere con cura, più di quanto avresti potuto fare tu. E lo stesso vale per quando l’amore lo si immagina o lo si ricorda, in cui la dimensione del presente da vivere o vissuta è sfumata nel tempo.
E così l’amore narrato diventa un vocabolario per leggere ciò che ci attraversa o per proiettarci verso una dimensione che vorremmo raggiungere o per ricordare qualcosa che abbiamo perso e pensare che lo abbiamo perso per trovarlo di nuovo, da nuovo, per caso o per destino.
Leggere ci aiuta a capirci, ad approfondire il nostro rapporto con noi stessi, a lanciarci con riflessività e con sentimento nella vita, a darci agli altri e ad affrontare gli eventi con attenzione e con cura, provando a cogliere la molteplicità degli aspetti di ogni fenomeno, di ogni persona.
Ecco che questo articolo vuole essere un breve viaggio nell’amore narrato, una riflessione a partire da alcuni libri, dai classici della letteratura fino ai testi del XXI secolo, in cui l’amore appare nel suo compimento e nella sua assenza, l’amore come mancanza e l’amore come arricchimento.
E allora parto da una domanda: vivete, avete vissuto, pensate di vivere nell’amore la realizzazione di una unione in cui diventate completi o invece l’amplificazione di uno stato di piacere in cui mantenete distinte le vostre identità diverse?
Due sono stati da sempre i volti dell’amore: da un lato la contemplazione della bellezza e la tensione verso l’oltre da sé che permette la realizzazione individuale e la crescita, coniugando il sentimento alla ragione, dall’altro la demoniaca pulsione verso il completamento dell’individualità attraverso il desiderio di qualcosa che non si esaurisce con il possesso e che non può essere governato razionalmente. In questa seconda accezione il sentimento appare connesso alla follia come rivelazione del vero, è l’estasi che Platone descrive come delirio e che conduce l’uomo verso il suo destino, un ricongiungimento delle entità divise nella forma unica che hanno perduto. Da qui ha origine l’idea dell’amore come completamento di una mancanza, realizzazione della natura più alta dell’essere umano mediante la ricerca di una assenza, come ci indica il filosofo nel Simposio. Un tempo gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v’era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione”.
Si tratta di due codici che troviamo nel percorso storico letterario e che rimangono, con traiettorie diverse, nella società contemporanea: l’amore come arricchimento, in questo caso l’individuo deve già conoscersi e amarsi nelle sue imperfezioni e fragilità (almeno deve avere intenzione di farlo) per considerare l’altro un amplificatore di felicità e l’amore come mancanza, il tentativo di trovare nell’altro il completamento, la piena realizzazione di sé.
Se nel primo caso l’amore si struttura su una identità riflessiva, per cui se la relazione si conclude il soggetto non entra nella disperazione totale ma cerca, con le difficoltà del caso, di affrontare la perdita con la consapevolezza che potrà trarne un insegnamento, nella seconda accezione l’amore avvolge e sconvolge il soggetto facendolo sentire completo e realizzato soltanto nella dimensione a due, in modo tale che se finisce il rapporto l’individuo si troverà perduto di fronte ad una solitudine che non riesce a gestire.
Così la letteratura diventa specchio di un caleidoscopio di forme di amore che attraversano la storia. Dall’amore nella letteratura cortese, quale sublimazione dell’oggetto amato che è tale perché irraggiungibile e che permette al poeta l’aspirazione all’assoluto, all’amore connesso ad una ricerca mai appagata, alla realizzazione di un desiderio che fallisce e fa smarrire la propria ragione, come nell’Orlando furioso dell’Ariosto. Orlando impazzisce propria quando scopre Angelica diversa da quella che credeva, la sua tragedia nasce dall’idealizzazione dell’oggetto amato e dall’incapacità di trasformarsi attraverso l’esperienza. L’opera di Ariosto diventa così una delle più alte espressioni della cultura della contraddizione e dell’ambivalenza, il primo modello letterario che costruisce il dubbio rispetto alle verità psicologiche ed etiche, l’amore come la letteratura si lega alla follia, nel momento in cui questa è il risultato dell’incontro tra l’idealizzazione del sentimento e la rappresentazione del reale.
E’ una direzione che troviamo in tutto il secolo a partire da Erasmo da Rotterdam fino al re Lear di Shakespeare e al don Chisciotte di Cervantes.
Se l’amore, ideale così alto nella letteratura cortese, si scontra nel percorso storico con la verità del reale, conducendo alla perdita della razionalità, sarà con l’Ottocento che si farà strada un nuovo modello di amore, l’amore romantico. Nasce una nuova attenzione all’Io e si traduce in una sottile analisi della sensibilità interiore, dove la forza divina dell’amore si scontra con gli ostacoli delle convenzioni sociali e dei dilemmi emotivi. Paradigma dell’amore romantico l’opera di Goethe I dolori del giovane Werther, dove il sentimento si trova dipinto nella sua impraticabilità. Si tratta del racconto di un istante nel quale sul tragitto verso una festa da ballo Werther conosce Charlotte e se ne innamora e decide di vivere il sentimento sebbene sia promessa ad Albert. La passione è vissuta all’insegna dell’inquietudine, nell’incapacità del protagonista di allontanarsi dall’amata o di lottare per conquistarla e non permettere il matrimonio.
La vita sembra giocarsi nello spazio tra “il rosso e il nero”, tra l’impeto del sentimento amoroso e la stabilità dei ruoli sociali. Julien, il personaggio creato con superba arte da Stendhal incarna questa scissione, figlio di umili origini, riesce a diventare precettore dei figli del sindaco ed è in quel momento che nasce l’amore forte e passionale con la moglie di questi che da prima lo ricambia e dopo invece finisce per esser colta dal senso di colpa e dall’odio verso se stessa. Nel romanzo il sentimento amoroso è dipinto in opposizione al sentimento politico, se l’uomo è costretto ad agire alla superficie della vita sociale per avere rispetto e prestigio, l’amore rimane un territorio autentico ma che mal si sposa alla scelta di non tradire la propria appartenenza sociale.
Le due anime gemelle, nella letteratura ottocentesca, si scontrano con gli ostacoli esterni ed interni, di comunicazioni o di diversa intensità delle passioni ed è solo la morte a permettere al legame di farsi eterno. La storia di Romeo e Giulietta è l’emblema di questo amore dove le individualità si fondono nel Noi e dove l’idealizzazione si scontra con il reale, per cui il sentimento amoroso può essere vissuto solo nell’eternità dopo la morte. L’amore romantico si proietta fuori dal tempo con una duplice consapevolezza: la scoperta di aver incontrato la sola persona desiderabile al mondo e la sensazione di essere salvati dall’amato e inseriti in un futuro che permette di riscattare la propria esistenza, anche attraverso la morte.  E’ l’amore come trasgressione che ci viene rappresentato da Shakespeare, un amore che divide ciò che era unito (i due amanti dalle loro famiglie) e unisce ciò che era diviso (i due giovani condannati ad essere nemici). Non sembra esiste innamoramento senza la trasgressione di una differenza, senza una felicità amara che deriva dall’aspirare ad una condizione di unione impossibile. Senza ostacoli non può esserci movimento e senza movimento non pare sussistere innamoramento, fino alla realizzazione di uno stato nascente in cui le due forze lontane si liberano l’una nell’altra con eros e con pienezza di vita e di felicità.
L’ideale romantico dell’amore si confronta e si manifesta nella letteratura europea, realista, verista, naturalista e sfuma in quella decadente. Il tentativo appare quello di riscoprire l’aspetto dionisiaco (irrazionale) del vivere di fronte ad una modernità apollinea (razionale) che produce credenze pericolose. I temi decadenti aprono la cultura del XX secolo, dove l’esperienza angosciosa della guerra consegnava all’uomo e al poeta il disincanto e la fine di ogni illusione, determinando una vera e propria “cultura della crisi”. Questo comporta da un lato la considerazione delle azioni umane come sempre più strumentali, per cui l’agire razionale per un scopo prevale sull’agire affettivo (Weber 1961, 1922), dall’altro l’affermarsi nella letteratura di un amore come riflesso della personalità del soggetto. L’innamoramento diventa una oscura e morbosa dipendenza, come sottolinea Mann in Morte a Venezia, in cui il protagonista sfugge la salvezza decidendo di rimanere dove si trovava in villeggiatura e dove è scoppiata la peste solo per continuare ad ammirare l’oggetto del suo amore. Il sentimento domina colui che ama che a lui si concede con la consapevolezza di perdere la padronanza di sé, lo aveva gridato con disperazione Wilde nella lunga lettera scritta al giovane amato: “Un giorno te ne renderai conto. Per quanto sia stato orribile quello che mi hai fatto, è stato ancora più orribile quello che io ho fatto a me stesso. Cessai di essere padrone di me. Non fui più io a governare la mia anima e non lo sapevo. A te permisi di dominarmi” (Wilde 1992 [1897]).
L’amore come potenza di piacere e di dolore, creazione della coscienza del soggetto che in esso e nell’altro decide di perdersi, si confronta, nell’Europa del dopo-guerra, con la visione di un sentimento quale scambio leale tra due amanti che decidono di impegnarsi nella relazione.
Se il neorealismo fa dell’amore una ricerca della verità, la verità che Milton, protagonista del capolavoro di Fenoglio Una questione privata, insegue, il suo disperato bisogno di conoscere i tradimenti della vita e la possibilità di riuscire ad accettarli grazie all’amore, sarà invece con il movimento della neo-avanguardia e del postmoderno che si assisterà all’opera di demistificazione effettiva della narrazione romantica. Siamo di fronte al passaggio da una esperienza sociale di avventura ad una esperienza ordinaria dell’amore, con la conseguenza perdita del rischio insito nella relazione romantica, verso la quotidianità di rapporti privi di immaginazione o sorretti in prevalenza da una dimensione di eccitazione (Lyman, Scott, 1975).
Questo passaggio dall’amore eccezionale all’amore quotidiano viene colto in due modalità distinte, a seconda che lo si consideri una perdita o una conquista. Da un lato la visione descritta dal sociologo Bauman di un amore liquido in una società fluida, un amore che si cerca per mitigare l’insicurezza della solitudine, ma da cui si ha allo stesso tempo paura di rimanere imbrigliati. Ecco che le relazioni sembrano divenire “tascabili” e così fragili da utilizzare e consumare al bisogno, per poi potersene liberare in fretta (Bauman 2006 [2003]). Dall’altro lato una visione decisamente più ottimista, quella di Giddens (1995 [1992]) che parla di trasformazioni dell’intimità, sottolineando come le relazioni sentimentali siano diventate una negoziazione tra due persone indipendenti e felici che si scelgono ogni giorno. Si tratta di un amore convergente dove il rapporto diventa un dare e avere reciproco, dove gli amanti traggono benedici tali da ritenere che valga la pena continuare. In questo amore non si rischia di essere assorbiti dall’altro, ma si valorizza la sua differenza, aprendosi alla comunicazione, non è un amore necessariamente eterno, ma un amore che può finire proprio perché si rinnova continuamente nella libertà.
Anche la letteratura riflette l’incapacità degli individui di fare delle scelte esclusive e durature, la condizione di libertà a cui sono condannati sembra spingerli in un limbo dove l’amore viene sospeso, per non scivolare nel rischio della delusione e del rimorso. Così scrive Coe in L’amore non guastacome molte persone, mi piace trascinarmi questo senso dell’occasione perduta, perché dà alla mia vita una sorta di patina estetica ed è una buona scusa per sentirmi infelice quando le cose non vanno bene”.
I giovani-adulti sono sorpresi nella frustrante zona di mezzo tra il bisogno di stabilità e l’estasi di una condizione di scoperta, precarietà e continua sperimentazione, ce lo ricorda  con cinica ironia Hornby in Alta fedeltà.Vedi io ho sempre avuto paura del matrimonio per via, sai della palla al piede, perché voglio la mia libertà e compagnia bella. Ma mentre pensavo a quella ragazza improvvisamente ho capito che era il contrario: che se ti sposi con qualcuno che sai di amare e ti sistemi, questo ti rende libero di fare altre cose. So che non sai cosa senti per me, ma io so cosa sento per te. So che voglio star con te e che continuo a fare finta di no, come me stesso e con te, e così andiamo zoppiconi. E’ un po’ come se firmassimo un nuovo contratto ogni due settimane, o roba così, e non ne posso più. E so che se ci sposassimo, io la prenderei seriamente, e mi passerebbe la voglia di combinare pasticci “(Hornby 1996 [1995]).
Si scoprono le fragilità del soggetto libero e insicuro che prova piacere nel gioco della passione e contemporaneamente sente l’esigenza di una stabilità affettiva che possa dare profondità alle sue scelte. Si svelano le ambivalenze dell’epoca in cui viviamo dove l’ideale romantico dell’eternità è tanto idealizzato quanto demistificato, vissuto talvolta come sogno di una adolescenza della vita che cede il passo ad un reale più complesso, movimentato, difficile e aperto, in cui il noi è sostituito dalla valorizzazione di due identità divise che mettono in gioco le loro diversità, cercando dei punti di comunicazione e di incontro.
E poi chi l’ha detto che si deve proprio vivere allo scoperto, sempre sporti sul cornicione delle cose, a cercare l’impossibile, a spiare tutte le scappatoie per sgusciare via dalla realtà? E’ proprio obbligatorio essere eccezionali? Io non lo so. Ma mi tengo stretta questa vita mia e non mi vergogno di niente: nemmeno delle mie soprascapre. C’è una dignità immensa, nella gente, quando si porta addosso le proprie paure, senza barare, come medaglie della propria mediocrità. E io sono uno di quelli.” (Baricco 2017[1991]).
Ecco forse, in una logica inclusiva, potremmo dire che coesistono l’ideale romantico e la sua morte e che l’amore è connesso alla paura, a saper convivere con la paura, ad affrontarla e attraversarla, assumendosi il rischio di uscirne diversi da come ne eravamo entrati. La paura di perdere noi stessi nella relazione, la paura di perdere l’altro nella nostra indipendenza, la paura verso un amore che si sceglie nella libertà e che sicuramente ci farà del male, eppure questo male lo si accetta, lo si accetta perché quando siamo innamorati brilliamo di una luce nuova che ci spinge a pretendere di più da noi stessi e allo stesso tempo a volerci bene.

Riferimenti bibliografici

Bauman Z. (2006 [2003]), Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Laterza, Roma.
Baricco A. (2017 [1991]), Castelli di rabbia, Feltrinelli, Milano.
Coe J. (2002 [1989]), L’amore non guasta, Feltrinelli, Milano.
de Cervantes S. M. (1997 [1605-1615]), Don Chisciotte, Ghisetti e Corvi, Milano.
Fenoglio B. (1998 [1963]), Una questione privata, Einaudi, Torino.
Giddens A. (1995 [1992]), La trasformazione dell’intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne, il Mulino, Bologna.
Goethe J.W. (1973 [1774]), I dolori del giovane Werther, Garzanti, Milano.
Hornby N. (1996 [1995]), Alta fedeltà, Guanda, Parma.
Lyman S.M., Scott .B. (1975), Drama of  Social Reality, Oxford University Press, New York.
Mann T. (1972 [1912]), La morte a Venezia, Einaudi, Torino.
Platone (1997), Simposio, in Tutti gli scritti, Rusconi, Milano.
Pratolini V. (1987 [1944]), Il Quartiere, Mondadori, Milano.
Shakespeare W. (2006 [1623]), Re Lear, Garzanti, Milano.
Shakespeare W. (2003 [1623]), I due gentiluomini di Verona, Fabbri, Milano.
Stendhal (1991 [1830]), Il rosso e il nero, Fabbri, Milano.
Weber M. (1961 [1922]), Economia e società, Ed. di Comunità, Milano.
Wilde O. (1992 [1897]), De Profundis, Feltrinelli, Milano