Rileggere la differenza: identità e stereotipi di genere/1

Video e testo a cura della prof.ssa  Anna Taglioli

La violenza sulle donne rappresenta un problema sociale di proporzioni globali enormi e disegna una sfida a cui tutti siamo chiamati a rispondere con strumenti che vadano oltre la normativa di tutela, se pur fondamentale. Il tema della violenza sulle donne è infatti strettamente connesso al tema delle differenze e disuguaglianze di genere, su cui intendiamo soffermarci in questo intervento.
Il linguaggio di genere entra prepotentemente attraverso la letteratura e i media vecchi e nuovi nelle nostre vite, andando a definire e sedimentare le traiettorie biografiche e sociali, legittimando e naturalizzando un processo di stigmatizzazione del ruolo femminile connesso al possesso e all’esercizio naturale della violenza. Per questo un passaggio necessario è l’educazione alla differenza, la riflessione sul processo di costruzione sociale dei ruoli maschili e femminili per riconoscere le influenze, saperle distinguere e sapersene liberare là dove limitano i nostri diritti.
L’identità è la coscienza di sé che deriva dal sentimento di continuità dell’Io e dal sentimento della differenziazione, è quindi il risultato di un triplice processo di individuazione, identificazione e differenziazione. La prima categoria con cui l’individuo si autorappresenta e si diversifica è il sesso biologico che struttura la realtà in cui viviamo su una dicotomia polare. Maschile e femminile diventato oltre a due proprietà fisiche due modelli interpretativi.
In quest’ottica nell’ambito famigliare i genitori sembrano ancora dare rilevanza primaria al sesso del bambino, costituiscono un sistema complesso di aspettative e di progetti che si formano proprio dalla definizione sessuale e predispongono fantasie e comportamenti che influenzeranno la vita del nascituro.
L’identità è complessivamente il risultato di meccanismi di costruzione intersoggettitiva di sistemi di credenza e schemi mentali. Lo stereotipo è l’immagine di un mondo possibile a cui si sono adattati i nostri modi di essere e di pensare. In questo mondo gli individui hanno il loro posto e compiono azioni che sono attese. Quando gli stereotipi si sedimentano nel tempo vengono interiorizzati e oggettivati.
Per comprendere come si riproducono gli stereotipi di genere sono stati effettuati studi della socializzazione di genere in cui ai genitori veniva chiesto di descrivere i loro neonati maschi e femmine ventiquattro ore dopo la nascita, quando non erano presenti altre differenze se non quelle sessuali. I genitori di femmine le descrivevano come più piccole, morbide meno attente, mentre i genitori di maschi descrivevano i figli come più forti, più svegli, più grandi e meglio coordinati.
Le più contemporanee ricerche sociologiche hanno evidenziato come queste nozioni preconcette spingano i genitori a creare ambienti diversi per i loro figli, utilizzando il sesso del bambino per interpretare e discriminare caratteristiche emotive e fisiche che in realtà sono indistinguibili, in questo modo il nascituro impara non soltanto quale genere diventare ma in che modo.
Il sistema scolastico (nel suo silenzio assertivo) e la narrativa per l’infanzia sembrano aver sedimentato queste distinzioni riproduttrici di disuguaglianze, in base alle quali i bambini sono legittimati e incentivati ad esprimere forza e creatività, aspirando a ruoli di rilievo pubblico, mentre alle bambine è richiesta dolcezza, tranquillità e prestazioni cognitive connesse a ruoli di precisione e di cura.
Anche la pubblicità, come la filmografia, contribuisce a riprodurre gli stereotipi di genere, a partire dalla distinzione delle attività maschili e femminili nel gioco, per ripresentare il ruolo femminile inaugurato nella letteratura per l’infanzia della donna dedita alle attività del focolare domestico, fino all’oggettivazione del corpo femminile nella logica della naturalizzazione del possesso. Si tratta di una triplice visione della donna colta nel ruolo di cura, rappresentata come oggetto del desiderio e stigmatizzata quando esce dallo stereotipo per dedicarsi alla carriera, tanto da apparire demoniaca. Sono queste le logiche che fanno della violenza sulle donne il proseguimento legittimato di una rappresentazione sociale.
Ecco che rileggere la differenza significa favorire lo sviluppo e la comprensione delle vere inclinazioni dei/delle bambini/e e dei/delle ragazzi/e al di fuori di quello che ci si aspetta da loro, insegnare a riconoscere gli stereotipi e a sviluppare un senso critico con cui scegliere con consapevolezza. La scelta spinge ad un dialogo tra libertà e responsabilità per una progettualità sconnessa dalle dinamiche di possesso e violenza naturalizzate nel percorso storico.
Per una riflessione sulle influenze della letteratura per l’infanzia nello sviluppo del sé e sulla necessità di uno spirito critico e riflessivo rispetto alle azioni che con abitudine definiscono il nostro modo di essere e di progettare la nostra identità, di seguito inseriamo alcuni estratti letterari.

Il primo tratto da Il secondo sesso della Beauvoir rimanda al rapporto tra uomo e donna e al ruolo che questa assume nell’immaginario sociale all’interno della copia e della collettività; il secondo invece è una analisi sulla costruzione degli stereotipi di genere nel processo di socializzazione primaria e in particolare attraverso l’interiorizzazione del linguaggio famigliare e dei modelli sociali presenti nella letteratura per l’infanzia; un testo pionieristico nel settore, seguito cronologicamente dal saggio della Lipperini Ancora dalla parte delle bambine che riporta le questioni alla loro attualizzazione nelle traiettorie sociali. L’ultimo invece va nella direzione di una decostruzione degli stereotipi di genere, attraverso il pensiero di una identità riflessiva quale viaggio che si costruisce nella relazione.
Per connettere la scrittura al linguaggio visivo e considerare il ruolo dei media nella riproduzione o nella decostruzione di tali stereotipi inseriamo anche alcuni link con rimando a esempi pubblicitari e non dove la distinzione dei ruoli maschili e femminili appare con evidenza e quelli più recenti che sembrano optare per un inizio di decostruzione.
E infine concludiamo con il riferimento alla pubblicità Ikea contro la violenza sulle donne per problematizzare come questa esiziale questione sia connessa in maniera significativa alla sedimentazione e riproduzione degli stereotipi di genere.

Consigli di lettura:

Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, il Saggiatore, 2016 [1949]

Per il marinaio, il mare è una donna pericolosa, perfida, difficile da conquistare, ma di cui si innamora nello sforzo di domarla. Orgogliosa, ribelle, vergine e crudele, la montagna è donna per l’alpinista che vuole, a rischio della propria vita, violarla. Si attribuisce spesso a questi paragoni il valore di una sublimazione sessuale; mi sembra ch’essi esprimano piuttosto un’affinità tra la donna e gli elementi, primordiale come la sessualità stessa. L’uomo cerca nel possesso della donna qualcosa di ben diverso dall’appagamento di un istinto; essa è l’oggetto privilegiato mediante il quale l’uomo domina la natura […] La donna non lusinga solo la vanità sociale dell’uomo; gli permette anche un orgoglio più intimo; l’uomo gode straordinariamente del dominio che esercita su di lei; non è solo in senso erotico, ma in senso morale, intellettuale, che il marito “forma” la donna; la educa, la sigla, le impone la sua impronta…nella donna c’è qualcosa di prezioso, qualcosa che si sottrae senza posa ad ogni stretta; così l’uomo è padrone d’una realtà tanto più degna di esser padroneggiata in quanto tende a sfuggirgli
… l’uomo vuole qualcuno che non abbia solo amore per lui; vuole qualcuno che gli asciughi la fronte, che faccia splendere la pace, l’ordine, la tranquillità

 

Elena Giannini Belotti, Dalla parte delle bambine, Feltrinelli, 2013[1973]

I genitori hanno fisso in mente un modello ben preciso cui i figli devono adeguarsi a seconda del loro sesso. Attraverso una serie innumerevole di precetti verbalizzati, l’adulto trasmette al bambino i valori cui è tenuto a corrispondere, pena l’inaccettazione sociale […] Tutto il processo educativo ruota intorno a questa differenziazione: le richieste dell’adulto al bambino ne portano sempre l’impronta. Facciamo una serie di esempi, a caso, di queste richieste differenziate. Si interviene se una bambina ride sguaiatamente, ma ci va benissimo che lo faccia un maschietto. Non tolleriamo che una bambina stia scomposta, ci sembra normale che stia scomposto un maschio. Si pretende che una bambina non urli, non parli a voce alta, ma se si tratta di un bambino ci sembra naturale. Puniamo una bambina, trasalendo di capriccio, se dice parolacce, se le dice un maschio ci viene da ridere… Se una bambina non è affettuosa con i bambini più piccoli di lei ci sembra un mostro di cattiveria, da un maschietto ci aspettiamo che li maltratti piuttosto che li accarezzi o li baci… mettiamo in ridicolo un bambino che ha paura, ci sembra normalissimo in una bambina. Se una bambina piagnucola le diciamo che è noiosa ma le diamo retta, se lo fa un bambino gli diciamo che è una femminuccia. Spingiamo un bambino a giocare alla guerra, ad arrampicarsi sugli alberi, a cimentarsi fisicamente, ma tratteniamo la bambina che vorrebbe fare le stesse cose… L’elenco potrebbe continuare a lungo. L’adulto attua una vera e propria selezione automatica degli interventi a seconda del sesso. Durante una mia visita ad una signora, madre di un maschio e di una femmina quasi coetanei, chiese al maschio di aprirmi il garage per mettervi la mia automobile e alla femmina di portami un bicchiere di latte… L’adulto seleziona gli ordini ai bambini secondo un codice preciso di cui non è affatto cosciente.
… Il malessere della società nei confronti della donna si rivela in questi racconti (letteratura per l’infanzia). Le bambine si trovano davanti una rappresentazione del mondo dalla quale le donne sono quasi escluse… la letteratura infantile ha quindi puramente una funzione di conferma dei modelli già interiorizzati dai bambini… le favole propongono donne miti, passive, inespresse, unicamente occupate dalla propria bellezza, inette e incapaci. Di contro le figure maschili sono attive, forti, coraggiose, leali, intelligenti… Cappuccetto Rosso è la storia di una bambina al limiti dell’insufficienza mentale che viene mandata in giro da una madre irresponsabile per cupi boschi infestati da lupi per portare alla nonna malata panierini colmi di ciambelle … ma tanta storditezza che non sarebbe mai stata attribuita ad un maschio, riposa sulla fiducia che si trova sempre nel posto giusto al momento giusto un cacciatore coraggioso e pieno di acume pronto a salvare dal lupo nonna e nipote. Biancaneve è anche lei una stolida ochetta che accetta la prima mela che le viene offerta, per quanto sia stata ammonita di non fidarsi di nessuno. Quando i sette nani accettano di ospitarla, i ruoli si ricompongono: loro andranno a lavorare, lei gli terrà la casa in ordine, rammenderà, scoperà, cucinerà e aspetterà il loro ritorno… Riesce sempre a mettersi negli impicci, ma per tirarla fuori deve, come sempre, intervenire un uomo, il Principe Azzurro. Cenerentola è il prototipo delle virtù domestiche, dell’umiltà, della pazienza, del servilismo… Non muove un dito per uscire da una situazione intollerabile, ingoia umiliazioni e sopraffazioni, è priva di dignità e di coraggio. Anche lei accetta il salvataggio che le viene da un uomo come unica risorsa, ma non è poi certo che costui la tratterà meglio di quanto sia stata trattata fino ad allora… le figure femminili delle favole appartengono a due categorie fondamentali: le buone e inette e le malvagie…
I modelli proposti da questo tipo di letteratura, piuttosto che aiutare il bambino a crescere e organizzare la sua società futura, rischiano di bloccarlo nell’infanzia

Isabel Allende, La somma dei giorni, Feltrinelli, 2008

Da quando ero bambina mi sono prepara a vegliare su me stessa. In quei giochi nella cantina della casa dei miei nonni, dove sono cresciuta, non sono mai stata la fanciulla salvata dal principe, bensì l’amazzone che si batteva col drago per salvare un popoli. Ma ora, dissi a Willie, volevo solo appoggiare la testa sulla sua spalla e pregarlo di proteggermi, come in teoria fanno gli uomini con le donne quanto le amano…. Non so esattamente cosa sia. Probabilmente vorrei essere la donzella del racconto e che tu fossi il principe che mi salva. Mi sono stancata di uccidere i draghi…
“Quando ci siamo conosciuti avevamo stabilito che io mi sarei arrangiata da sola!
“Avevamo stabilito questa cosa?”
“Non con queste parole, ma era sottinteso: saremmo stati compagni. La parola compagni ora mi fa venire in mente la guerriglia. Mi piacerebbe provare cosa si sente a essere una fragile sposa, giusto per variare”.
“Ah! La scandinava della sala da ballo aveva ragione: è l’uomo a guidare” rise.
Gli risposi con una pacca sul petto, mi spinse e finimmo sott’acqua. Willi mi conosce più di me
stessa e nonostante tutto mi ama.

Immagine: pxfuel