file anonimo 4

Un assedio

31
Tragge egli fuor l’esercito pedone
Con molta provvidenza e con bell’arte:
E contra il muro, ch’assalir dispone,
Obliquamente in due lati il comparte.
Le baliste per dritto in mezzo pone,
E gli altri ordigni orribili di Marte;
Onde, in guisa di fulmini, si lancia
Ver le merlate cime or sasso or lancia.

32
E mette in guardia i cavalier de’ fanti
Da tergo, e manda intorno i corridori.
Dà il segno poi della battaglia, e tanti
I sagittarj sono e i frombatori
E l’arme delle machine volanti,
Che scemano fra i merli i difensori.
Altri v’è morto, e ’l loco altri abbandona:
Già men folta del muro è la corona.

33
La gente Franca impetuosa e ratta
Allor quanto più puote affretta i passi.
E parte scudo a scudo insieme adatta,
E di quegli un coperchio al capo fassi.
E parte sotto machine s’appiatta
Che fan riparo al grandinar de’ sassi.
Ed arrivando al fosso, il cupo e ’l vano
Cercano empirne, ed adeguarlo al piano.

34
Non era il fosso di palustre limo
(Chè nol consente il loco) o d’acqua molle:
Onde l’empiano, ancorchè largo ed imo,
Le pietre, i fasci, e gli alberi, e le zolle.
L’audacissimo Alcasto intanto il primo
Scopre la testa, ed una scala estolle:
E nol ritien dura gragnuola, o pioggia
Di fervidi bitumi, e su vi poggia.

35
Vedeasi in alto il fero Elvezio asceso
Mezzo l’aereo calle aver finito,
Segno a mille saette, e non offeso
D’alcuna sì che fermi il corso ardito:
Quando un sasso ritondo e di gran peso,
Veloce, come di bombarda uscito,
Nell’elmo il coglie, e ’l risospinge a basso:
E ’l colpo vien dal lanciator Circasso.

36
Non è mortal, ma grave il colpo e ’l salto
Sì ch’ei stordisce, e giace immobil pondo.
Argante allora in suon feroce ed alto:
Caduto è il primo, or chi verrà secondo?
Chè non uscite a manifesto assalto,
Appiattati guerrier, s’io non m’ascondo?
Non gioveranvi le caverne estrane;
Ma vi morrete come belve in tane.

37
Così dice egli; e per suo dir non cessa
La gente occulta; e tra i ripari cavi
E sotto gli alti scudi unita e spessa
Le saette sostiene, e i pesi gravi;
Già l’ariete alla muraglia appressa
Machine grandi, e smisurate travi
C’han testa di monton ferrata e dura.
Temon le porte il cozzo e l’alte mura.

38
Gran mole intanto è di là su rivolta
Per cento mani al gran bisogno pronte,
Che sovra la testuggine più folta
Ruina, e par che vi trabocchi un monte:
E, degli scudi l’union disciolta,
Più d’un elmo vi frange e d’una fronte:
E ne riman la terra sparsa e rossa
D’arme, di sangue, di cervella, e d’ossa.

39
L’assalitor allor sotto al coperto
Delle machine sue più non ripara:
Ma da i ciechi periglj al rischio aperto
Fuori se n’esce, e sua virtù dichiara.
Altri appoggia le scale e va per l’erto:
Altri percuote i fondamenti a gara.
Ne crolla il muro, e ruinoso i fianchi
Già fessi mostra all’impeto de’ Franchi.

40
E ben cadeva alle percosse orrende
Che doppia in lui l’espugnator montone;
Ma sin da’ merli il popolo il difende
Con usata di guerra arte e ragione:
Ch’ovunque la gran trave in lui si stende,
Cala fasci di lana, e gli frappone.
Prende in se le percosse e fa più lente
La materia arrendevole e cedente.

41
Mentre con tal valor s’erano strette
Le audaci schiere alla tenzon murale,
Curvò Clorinda sette volte, e sette
Rallentò l’arco, e ne avventò lo strale:
E quante in giù se ne volar saette,
Tante s’insanguinaro il ferro e l’ale,
Non di sangue plebeo, ma del più degno:
Chè sprezza quell’altera ignobil segno.

42
Il primo cavalier ch’ella piagasse
Fu l’erede minor del Rege Inglese.
De’ suoi ripari appena il capo ei trasse,
Che la mortal percossa in lui discese.
E che la destra man non gli trapasse,
Il guanto dell’acciar nulla contese;
Sicchè inabile all’arme ei si ritira
Fremendo, e meno di dolor che d’ira.

43
Il buon Conte d’Ambuosa in ripa al fosso,
E su la scala poi Clotareo il Franco:
Quegli morì trafitto il petto e ’l dosso:
Questi dall’un passato all’altro fianco.
Sospingeva il monton, quando è percosso
Al signor de’ Fiamminghi il braccio manco:
Sicchè tra via s’allenta, e vuol poi trarne
Lo strale, e resta il ferro entro la carne.

44
All’incauto Ademar, ch’era da lunge
La fera pugna a riguardar rivolto,
La fatal canna arriva, e in fronte il punge.
Stende ei la destra al loco ove fu colto,
Quando nova saetta ecco sorgiunge
Sovra la mano, e la configge al volto:
Onde egli cade, e fa del sangue sacro
Su l’arme femminili ampio lavacro.

45
Ma non lungi da’ merli a Palamede,
Mentre ardito disprezza ogni periglio
E su per gli erti gradi indrizza il piede,
Cala il settimo ferro al destro ciglio:
E trapassando per la cava sede
E tra i nervi dell’occhio, esce vermiglio
Diretro per la nuca: egli trabocca,
E muore a piè dell’assalita rocca.

46
Tal saetta costei! Goffredo intanto
Con novo assalto i difensori opprime.
Avea condotto ad una porta accanto
Delle machine sue la più sublime.
Questa è torre di legno, e s’erge tanto
Che può del muro pareggiar le cime:
Torre, che grave d’uomini ed armata,
Mobile è su le rote, e vien tirata.

47
Viene avventando la volubil mole
Lance e quadrella, e quanto può s’accosta:
E, come nave in guerra nave suole,
Tenta d’unirsi alla muraglia opposta.
Ma chi lei guarda, ed impedir ciò vuole,
Le urta la fronte, e l’una e l’altra costa:
La respinge con l’aste, e le percuote
Or con le pietre i merli ed or le rote.

48
Tanti di qua, tanti di là fur mossi
E sassi e dardi, ch’oscuronne il Cielo.
S’urtar due nembi in aria, e là tornossi
Talor respinto onde partiva il telo.
Come di fronde sono i rami scossi
Dalla pioggia indurata in freddo gelo,
E ne caggiono i pomi anco immaturi;
Così cadeano i Saracin da i muri.