Invito alla lettura: Cose di Cosa Nostra e Un fatto umano

Cose di Cosa Nostra rappresenta una delle testimonianze più significative intorno alla figura di Giovanni Falcone, consegnandoci un racconto in cui i tratti dell’uomo e quelli del magistrato si presentano strettamente intrecciati tra loro: difatti, pur lasciando trapelare a più riprese i sentimenti e le passioni che muovono l’uomo di Stato, il discorso si sofferma in maniera lucida e consapevole su temi scomodi e ancora oggi di stringente attualità.
Il volume prende forma dalle venti interviste rilasciate da Falcone a Marcelle Padovani, giornalista francese attiva in Italia negli anni 70-80, e viene pubblicato nel 1991, un anno prima della strage di Capaci. Un anno difficile per Falcone, messo al centro di numerose polemiche e attaccato dalla stampa che lo accusa di protagonismo, isolato dalla magistratura e da quelle stesse istituzioni che cercava di difendere con tutte le sue forze. Se nelle parole di Falcone si percepisce una sorta di amarezza, mista a una sottile malinconia, che rende la narrazione ancora più intensa, tuttavia non viene mai meno la speranza e la fiducia in un futuro diverso. Scrive Marcelle Padovani nel prologo della prima edizione: «Durante le venti interviste che costituiscono l’ossatura di questo libro, la solitudine di questo magistrato fuori del comune mi è apparsa ancora più evidente che non a Palermo. Ma la certezza della vittoria finale non l’ha mai abbandonato. L’opacità di un grosso ministero, le logiche della politica “politicante”, il machiavellismo dei “palazzi” romani non l’hanno tuttora distolto dalla sua idea fissa: lo Stato ha i mezzi per sconfiggere la mafia» (p. 24).
Gli argomenti trattati nel corso delle interviste sono disposti all’interno di sei capitoli tematici, che offrono un’analisi dettagliata di alcuni aspetti inediti, per i tempi, del fenomeno mafioso, facendo luce su molti luoghi comuni che l’hanno accompagnato negli anni.

Nel capitolo intitolato Violenze, oltre a rendere conto delle nuove armi a disposizione di Cosa Nostra, il magistrato espone con chiarezza le logiche, razionalissime, che stanno alla base dell’intimidazione mafiosa e le leggi che regolano l’uso della violenza. «In genere – sottolinea Falcone – si ritiene che la mafia privilegi certe tecniche di omicidio rispetto ad altre. È un errore. La mafia sceglie sempre la via più breve e meno rischiosa. È questa la sua unica regola» (p. 36). E infatti nel corso della sua analisi il magistrato sfata il mito dell’irrazionale brutalità che regola le violenze mafiose e afferma: «Nell’organizzazione violenza e crudeltà non sono mai gratuite, rappresentano sempre l’extrema ratio, l’ultima via d’uscita quando tutte le altre forme di intimidazione sono inefficaci o quando la gravità di uno sgarro è tale da meritare soltanto la morte» (p. 38).

Nel secondo capitolo, Messaggi e messaggeri, Falcone si sofferma sul codice che sta alla base del simbolismo criminale e delle regole d’onore che disciplinano i rapporti all’interno di Cosa Nostra, ribadendo l’importanza che la conoscenza di tale codice assume per chi, magistrati e forze dell’ordine, deve contrastare la mafia. «L’interpretazione dei segni, dei gesti, dei messaggi e dei silenzi costituisce una delle attività principali dell’uomo d’onore. E di conseguenza del magistrato» (p. 59). È in questo contesto che il magistrato parla del suo rapporto con i pentiti – tra cui spicca quello con Tommaso Buscetta –, un rapporto umano, in cui il rispetto reciproco diviene la base essenziale su cui costruire l’indagine.
Contiguità fornisce un’analisi antropologica del fenomeno mafioso, strettamente legato alla realtà siciliana e incomprensibile senza di essa. In particolare, in queste pagine emerge il fitto intreccio che lega Cosa Nostra alla Sicilia, «la straordinaria contiguità economica, ideologica, morale tra mafia e non-mafia e la commistione inevitabile tra valori siciliani e valori mafiosi, tra appartenenti all’organizzazione e cittadini comuni» (p. 102).

Nei capitoli successivi, Cosa Nostra e Profitti e Perdite, vengono prese in considerazione in particolar modo la struttura organizzativa di Cosa Nostra e gli aspetti finanziari che indirizzano le scelte e l’operato dell’organizzazione criminale, nonché il suo radicamento nel tessuto economico-sociale. Queste pagine, dense e ricche di brillanti intuizioni, rappresentano il frutto del lungo lavoro del pool antimafia e costituiscono una preziosa eredità lasciata alle future generazioni.

Poteri e potere, capitolo che chiude l’opera, offre un’approfondita analisi delle cause politiche che hanno permesso alla mafia di consolidare il proprio potere. Falcone riflette sul futuro della lotta alla mafia suggerendo importanti modifiche alla legislazione e alle procedure giuridiche per contrastare con più efficacia il fenomeno. Il libro si chiude con un’affermazione che, alla luce del tragico destino cui Falcone, di lì a poco, sarebbe andato incontro, risuona come una premonizione e un monito per il futuro: «Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere» (p.183).

In queste pagine più che in altre è possibile scorgere, oltre la toga, quella complessa dimensione umana che ha contraddistinto il lavoro di Falcone, ma che spesso, nella narrazione dei classici dell’antimafia, viene messa da parte a favore della, seppur altrettanto importante, figura professionale. Lo stesso magistrato, nel corso delle interviste, accompagna il lettore in una narrazione a tutto tondo del fenomeno mafioso, illustrando le sue scoperte – derivate prima da personali intuizioni e comprovate poi dalle indagini e dai colloqui con i pentiti – e svolgendo acute riflessioni intorno alla struttura e al funzionamento della mafia siciliana, senza mancare, d’altra parte, di mettere in luce il complesso lato umano di tale fenomeno. Come sottolinea lo stesso Falcone «la mafia è composta di esseri umani, con le loro esigenze, i loro desideri, i loro comportamenti che si evolvono nel tempo» (p. 49).

Comprendere la dimensione umana che si cela dietro il fenomeno criminale ci permette di andare oltre l’apparente immagine di una mafia astratta, eterna e invincibile. Riconoscerla come fenomeno storico nel suo sviluppo temporale, fatto di cambiamenti anche radicali, ci permette di affrontarla a viso aperto, abbandonando gli arcaici luoghi comuni che da sempre l’hanno accompagnata e che le hanno conferito un alone di mistero. Considerarla – come lo stesso Falcone ci ha ripetuto più volte – un “fatto umano” ci offre una nuova fiducia, la consapevolezza che, come tutti i fatti umani, anch’essa è destinata a morire. «Certo – afferma Falcone – dovremo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo mafioso. Per lungo tempo, non per l’eternità: perché la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine». (p. 166)

Ad oggi, però, nonostante il rinnovato impegno dello Stato nella lotta alla criminalità e il faticoso lavoro di magistrati, giornalisti e rappresentanti della società civile, quella fine sembra ancora lontana. Le mafie, come osservava già Falcone, hanno cambiato pelle e si sono trasformate, allargando la loro influenza su scala globale e invadendo nuovi settori economici. Si pensi, solo per fare un esempio, alla ‘ndrangheta, considerata fino alla fine degli anni ’80 poco più di una mafia agro-pastorale, ma diventata oggi una delle associazioni criminali più pericolose e influenti al mondo. Le ‘ndrine, infatti, controllano la maggior parte del traffico di cocaina diretta in Europa e hanno allargato i loro interessi finanziari, facendo breccia anche in contesti politici e sociali – tanto nell’Italia settentrionale quanto nel resto d’Europa – impensabili fino a qualche decennio fa.
Eppure, proprio in questo momento la nostra lotta non può venire meno, e non dobbiamo perdere la speranza. La fine di cui parlava Falcone dipende da noi, cittadini e istituzioni, e dal nostro impegno quotidiano teso a contrastare tutte le mafie, al fianco dei grandi uomini che hanno dato la loro vita per sconfiggerle. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Boris Giuliano, Peppino Impastato e tutti gli altri martiri laici che hanno consacrato il loro impegno nella lotta contro la mafia non ci hanno abbandonato: vivono oggi attraverso le loro idee e lottano insieme a noi. Ricordare la loro vita e le loro azioni diventa dunque per noi non solo un dovere, ma un impegno ineludibile per poter continuare a sperare in un futuro libero da tutte le mafie.

Vorrei chiudere queste riflessioni consigliando la lettura della graphic novel intitolata Un fatto umano. La storia narrata in queste pagine ruota attorno alle vicende del pool antimafia e ai protagonisti che hanno animato questa importante stagione della società italiana, offrendo un’attenta ricognizione della situazione politica e sociale degli anni ’80. La narrazione è affidata alla figura tipicamente siciliana del puparo, il burattinaio che mette in scena i cunti nei tradizionali teatrini dei pupi. Ma, in questo caso, le vicende evocate non sono quelle di Orlando, Ruggero e Angelica, i valorosi paladini di Carlo, di guerre agli infedeli e di amori, incantesimi e magie. Quella che emerge, attraverso i fili mossi con maestria, è la storia di un fatto umano, la storia di un’Italia ferita da intrighi e da conflitti che s’intrecciano in maniera inestricabile alle vicende siciliane. Fatti umani che, come in una favola di Esopo o di Fedro, si trasfigurano, assumendo sembianza animale. Come afferma il puparo all’inizio dell’opera, «per non fare scantàri i cchiù picciriddi, faciemu finta ca vi cuntu una cosa antica, come una favola con gli animali. E siccome fra gli animali oltre a quelli tinti ci sono quelli buoni, in questa storia pure ci saranno uomini buoni». Il gatto Falcone, il cane Borsellino, il tricheco Giuliano sono solo alcuni di questi uomini buoni che lottano contro il malaffare e le altre piaghe che hanno insanguinato la Sicilia e l’Italia.
La narrazione dei fatti è molto dettagliata ma manca forse, soprattutto per quanto riguarda le vicende politiche italiane, una visione organica che aiuti il lettore che poco conosce quella parte di storia del nostro paese a orientarsi. Nonostante ciò, tali problemi si dissolvono una volta che il filone principale della storia, la creazione del pool antimafia, diviene chiaro e la narrazione comincia a concentrarsi sulle vicende di Falcone e Borsellino. Una storia che si chiude con le stragi di Capaci e di via D’Amelio in cui i due magistrati persero la vita. «È finito tutto, è finito tutto», affermava con la voce rotta dalla commozione e dalla rabbia, stringendo forte le mani del giornalista che lo intervistava, il giudice Caponnetto. «È finito tutto. O no? – si chiede anche il nostro puparo – O finché c’è qualcuno che la vuole ascoltare, questa storia non è ancora finita? Perché cose poco chiare ce ne sono assai e noi dobbiamo pretendere di saperle. Solo così prima o poi qualcuno dovrà parlare. Ma chista e ‘n’avutra storia. E io, docu v’a lassu… e n’avutra vota v’a cuntu.»

 

Gaetano Giandoriggio