La strage di Capaci vista da un tredicenne

Giovanni Callori, responsabile di LIBERA Pisa – Scuola & Formazione, condivide con noi la preziosa testimonianza di Dario Riccobono, fondatore e presidente, a Palermo, di Addiopizzo travel.

DIARIO DI UN GIORNO CHE HA CAMBIATO LA MIA VITA

Mi chiamo Dario, ho 13 anni e frequento la terza media.

Il 23 maggio del 1992 è un sabato e mi trovo, mio malgrado, a casa.

Il cielo è cupo, un po’ come il mio stato d’animo: i miei amici sono andati a giocare a calcetto e io non sono stato invitato.

Non posso nemmeno lontanamente immaginare che quel sabato scialbo e vuoto cambierà la mia vita e quella del mio paese per sempre.

Intorno alle 18 si sente un boato, vibra il pavimento, ma nessuno ci fa tanto caso. A qualche chilometro in linea d’aria c’è una cava e di tanto in tanto si sente il rantolo di qualche esplosione. Forse avranno piazzato qualche carica più consistente del solito. Poco dopo però si comincia a sentire in lontananza l’urlo lamentoso delle sirene di diverse auto, troppe. L’arrivo di due elicotteri che si mettono a ronzare intorno come api impazzite fuga ogni dubbio: è successo qualcosa di grave.

Per strada si rincorrono le prime voci. La più ricorrente è quella di un incidente in autostrada. Ma gli elicotteri per un incidente? E il boato? A più di un chilometro di distanza non si può sentire il rumore di un incidente d’auto.

È qualcosa di grosso, forse una bomba “ – dice qualcuno.

In tv non si vede ancora nulla, nessuna notizia.

Mio padre decide di andare a vedere e io lo seguo. Sulla statale la circolazione è già bloccata. I guidatori scendono dalle macchine e si interrogano a vicenda, avanzando le più svariate congetture sull’accaduto. In lontananza si vede ancora una colonna di fumo che va diradandosi. Un odore acre impregna l’aria.

In una decina di minuti che ci sembrano interminabili arriviamo sul posto e lo spettacolo che si presenta ai nostri occhi è agghiacciante. Stento a riconoscere quel luogo che pure ho attraversato tantissime volte in macchina. Per decine e decine di metri l’asfalto è scomparso. Dove prima c’era l’autostrada, adesso c’è un cratere cosparso di rottami semisommersi dal terriccio, tra cui si muovono poliziotti smarriti che sembrano vagare in un’atmosfera surreale. Una scena di guerra, quella che finora avevo solo visto nei film o al telegiornale, adesso la vedo a Capaci, il mio paese.

È stato proprio quel giorno che ho preso coscienza viva e concreta dell’esistenza della mafia. A tredici anni sai cosa è la mafia e che è presente nel tuo territorio, ma vederla coi tuoi occhi nel tuo paese è un’altra cosa.

Nei giorni immediatamente seguenti non perdo uno speciale tv e leggo con attenzione tutti gli articoli sulla strage. Comincio a chiedermi chi fosse Giovanni Falcone e perché la mafia lo ha ucciso.

Quell’esplosione, alle 17:58 del 23 maggio del 1992, oltre alla terra, ha scosso anche le coscienze di tanti giovani come me accendendo una rabbia mai provata prima, intensa come l’amore che i siciliani nutrono per la propria terra. La rabbia nel vedere il proprio paese associato alla mafia, PER SEMPRE. L’amore verso una terra tanto splendida quanto martoriata, che ha bisogno del nostro impegno. Rabbia e amore, due facce della stessa medaglia.

Assieme ai miei compagni di scuola, cerco di tradurre quella rabbia e quell’amore in iniziative concrete volte a sensibilizzare le coscienze ai valori della legalità, dell’impegno civile, della partecipazione democratica.

In famiglia e a scuola ci facciamo delle domande: “Abbiamo fatto abbastanza per combattere la mafia? Abbiamo fatto il possibile per non lasciare solo Falcone? Non sono stati forse anche il nostro silenzio e la nostra indifferenza a condannare Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro?“.

Queste domande mi hanno fatto comprendere che da quel giorno non ero più solo un ragazzo di 13 anni.

Il 23 maggio ho cominciato ad essere un Cittadino……… un cittadino con la C maiuscola.

Autore:

Dario Riccobono