file anonimo 1

Un giudizio di Paride

119
De le Ninfe del Ciel gli occhi e le guance
considerate, e le proposte udite,
mentr’ancor vacillante in dubbia lance
del concorso divin pende la lite,
piú non vuole il Pastor favole o ciance,
piú non cura mirar membra vestite:
ma piú dentro a spiar di lor beltade
la curiositá gli persuade.

120
Poi che del pari in quest’agon si giostra,
piú oltre» dice «essaminar bisogna,
né diffinir la controversia vostra
si può, se ’l vel non s’apre a la vergogna;
perché tal nel difuor bella si mostra,
che senza favellar dice menzogna.
Pompa di spoglie altrui sovente inganna,
e d’un bel corpo i mancamenti appanna.

121
Ciascuna dunque si discinga, e spogli
de’ ricchi drappi ogni ornamento, ogni arte,
perché la vanitá di tali invogli
ne le bellezze sue non abbia parte.»
Giunon s’oppone, e con superbi orgogli
ciò far ricusa, e traggesi in disparte.
Minerva ad atto tal non ben si piega,
tien gli occhi bassi, e per modestia il nega.

122
Ma la prole del mar, che ne’ cortesi
gesti ha grazia ed ardir quant’aver potè:
«Esser vogl io la prima a scior gli arnesi»
prorompe «ed a scoprir le parti ignote!
Onde chiaro si veggia, e si palesi,
che non solo ho begli occhi, e belle gote,
ma ch’è conforme ancora, e corrisponde
al bello esterior quel che s’asconde».

123
«Orsú» Palla soggiunse «ecco mi svesto,
ma pria che scinte abbiam le gonne e i manti,
fa’ tu, Pastor, ch’ella deponga il cesto,
se non vuoi pur che per magia t’incanti.»
Replicò l’altra: «Io non ripugno a questo,
ma tu, che di beltá vincer ti vanti,
perché non lasci il tuo guerriero elmetto?
e lo spaventi con feroce aspetto?

124
Forse che ’n te si noti e si riprenda
degli occhi glauchi il torvo lume hai scorno? •>
Impon Paride allor, che si contenda
senza celata, e senza cinto intorno.
Restò l’aspetto lor, tolta ogni benda,
senz’alcuna ornatura assai piú adorno.
Sí di se stesse, e non d’altr’armi altere
nel grand’arringo entrar le tre Guerrere.

125
Quando le vesti alfin que’ tre modelli
de la perfezzione ebber deposte,
e de’ lor corpi immortalmente belli
fur le parti piú chiuse al guardo esposte,
vider tra l’ombre lor lumi novelli
le caverne piú chiuse, e piú riposte;
né presente vi fu creata cosa
che non sentisse in sé forza amorosa.

126
Il Sol ritenne il corso al gran viaggio,
inutil fatto ad illustrare il mondo,
perché vide offuscato ogni suo raggio
da splendor piú sereno, e piú giocondo.
Volea scendere in terra a fargli omaggio,
ambizioso pur d’esser secondo:
poi tra sé si pentí de l’ardimento,
e d’ammirarlo sol restò contento.

127
Onorata la terra, e fatta degna
d’abitatrici sí beate e sante,
con bella gratitudine s’ingegna
di rispondere in parte a grazie tante.
Di bei semi d’Amor gravida impregna,
e partorisce a que’ begli occhi avante.
Ringiovení Natura, e Primavera
germogliò d’ognintorno, ove non era.

128
Contro i lor naturali aspri costumi
generar dolci poma i pini irsuti.
Nacquer viole da’ pungenti dumi,
fiorir narcisi in su i ginebri acuti.
Scaturir mèle e corser latte i fiumi,
e ’l mar n’ebbe piú ricchi i suoi tributi.
Sparser zaffiro i rivi, argento i fonti,
tur d’ostro i prati, e di smeraldo i monti.

129
Lascia il canto ogni augel de la foresta
per pascer gli occhi di sí lieto oggetto.
L’acque loquaci in quella rupe e ’n questa
fermaro il mormorio per gran diletto.
L’aere confuso di dolcezza, arresta
i sussurri de Tacque al lor cospetto,
frema al dolce spettacolo ogni belva,
e con attenzion tace la selva.

130
Tacea, se non che gli arbori felici
allievi de la prossima palude,
mossi talor da venticelli amici
bisbigliavano sol, ch’erano ignude.
E voi di tanta gloria spettatrici
sentiste altro velen, Vipere crude,
onde tornando ai vostri dolci amori,
vi saettaste con le lingue i cori.

131
Le Naiadi lascive, i Fauni osceni
abbandonano gli antri, escon de Tonde.
Ciascun per far con gli occhi ai bianchi seni
qualche furto gentil, presso s’asconde.
Vegeta Amor ne’ rozi sterpi, e pieni
d’Amor ridono i fior, l’erbe e le fronde.
Ai sassi, esclusi dal piacere immenso,
spiace sol non avere anima e senso.

132
Paride istesso in quelle gioie estreme
non vive no, se non per gli occhi soli.
Tanto eccesso di luce, il miser teme
non la vista, e la vita in un gl’involi.
Sguardo non ha per tanti raggi insieme,
né cor bastante a sostener tre Soli.
Triplicato balen gli occhi gli serra,
un Sole in Cielo, e tre ne vede in terra!