Finché il caffè è caldo. Ovvero che cos’è la felicità?

Articolo d Anna Taglioli

È possibile definire la felicità? La psicologia moderna prova a farlo rappresentandola come benessere soggettivo, come valutazione delle proprie esperienze di vita che contiene una generale soddisfazione per gli aspetti importanti del proprio percorso e la presenza di affetti positivi, contro una bassa manifestazione di affetti negativi.
Da sempre del resto la filosofia, fin dalla sua prima manifestazione storica, ha a che fare con la risposta del soggetto alle sue condizioni di vita, così come gli appaiono.
Eppure la felicità non deriva solo dalla consapevolezza di risultati positivi come la presenza di una buona salute, di un buon lavoro e di buone relazioni affettive, ma è in realtà causa di questi risultati. Così essere felici non appare il seguire ciò che provoca piacere, ma piuttosto lo stato d’animo che trasforma gli eventi vissuti dando loro una connotazione di senso.
La felicità continua ad essere tante cose diverse, per ognuno e per ogni momento della vita, la felicità immaginata, pensata, cercata o la felicità che va vissuta e basta, come ci suggerisce Enri de Luca nel libro Il giorno prima della felicità. Qui la felicità è un agguato inatteso, arriva e ti travolge mentre tu la cercavi altrove con impazienza e con ingordigia, la inseguivi in un posto che non era il suo, perché la felicità non sta ferma, si muove, ti fa muovere, ti fa cambiare, ti permette di inseguire te stesso.
Così da sempre anche nella letteratura la felicità ha assunto volti diversi, la felicità presente e costante, quasi naturale, costruita dalle piccole cose che proteggono dai grandi dolori o la felicità di una vita vissuta al massimo, della passione, dell’intensità, del desiderio. La felicità tale perché perduta e riconosciuta nel momento della tristezza e del dolore, oppure la felicità improvvisa e provata nella consapevolezza della precarietà del momento presente, in un tempo che oscilla tra il dolore e la noia.
La felicità di una sociologia occidentale che la pensa connessa al raggiungimento degli obiettivi e la felicità di matrice orientale che viceversa la considera uno sguardo, lo sguardo con cui si decide di osservare e vivere il mondo.
E cos’è per voi oggi la felicità in questo tempo convulso e chiuso? Ha forse assunto un odore diverso da quello che aveva prima che questa pandemia cambiasse le carte in tavola? E’ diventata un ricordo e un’aspettativa, oppure avete modificato lo sguardo verso questa felicità da cui prima vi lasciavate colpire senza pensarci troppo?
Oggi più che mai riflettere sulla felicità, cercare di osservarla, diventa un modo per resistere, per non perdere la fiducia, per impegnarsi nel non abbandonarla, in qualsiasi modo la si immagini o la si viva e con questa intenzione vi suggerisco la lettura di un libro che è diventato un caso editoriale mondiale nel 2020, in pieno boom pandemico, un libro improvviso che ha colpito per il modo in cui viene affrontata, vissuta, trattenuta, fermata, la felicità…

Il libro dal titolo Finchè il caffè è caldo, ha un continuo con Basta un caffè per essere felici, dove l’autore Toshikazu Kawaguschi riprende la magia di quella miracolosa caffetteria descritta nel primo libro e torna a parlare della capacità di perdonarsi, di quella sottile e profonda felicità che consiste nell’abbracciarsi e nell’amarsi per come si è, imperfetti e sbagliati, amarsi sì ma anche modificarsi, migliorarsi, accogliersi, accogliendo gli altri. Si tratta di un viaggio emozionante e speciale nel passato che ci ricorda che il momento più importante è il presente.
In Giappone c’è una caffetteria speciale sulla quale circolano mille leggende. Si narra che non si possa uscire gli stessi che si è entrati e che sedendosi ad un tavolino e bevendo il caffè sia possibile rivivere un momento della propria vita in cui si è fatta una scelta sbagliata, si è detta una parola che era meglio non dire o si è lasciata perdere un’occasione fondamentale. Una sola importantissima regola (così sembrerebbe), si deve terminare il caffè prima che si sia raffreddato. Ma attenzione il passato non si può cambiare, anche ritornando indietro e rivivendo il momento perduto. Questo dissuade molti clienti dall’intraprendere l’esperienza, molti ma non tutti, alcuni di loro rischiano, rischiano per rivedere la persona che hanno amato e hanno perduto, rischiano per poter dire quella parola che non hanno detto prima di lasciar andare quell’amore, quel dolore, quella situazione. Ritornano per manifestare i propri sentimenti inespressi e poter essere diversi da quello che sono stati.
In fondo si tratta di un desiderio che accomuna tutti, quello di poter rivivere un’occasione perduta, continuare una parola sospesa, riprendere un sentimento taciuto. E’ forse fondamentale che questo ripercorrere il passato trasformi le vicende del nostro presente o meglio non le altera forse comunque nel momento che modifica noi, nel momento in cui ci rende diversi da prima che pronunciassimo quella parola, affrontassimo quel comando mai affrontato, scegliessimo di non avere paura? Cosa fa allora del presente il presente, quello che viviamo o come lo viviamo? Quello che ci capita o come siamo noi e agiamo noi di fronte agli eventi?
Così Fumiko vuole capire perché il ragazzo che amava l’ha lasciata e vuole potergli dire “non andare”, sa che questo non cancellerà la sua partenza, ma cambierà lei, la sua capacità di esprimere un sentimento, di non rimanere immobile, di scegliere e non lasciarsi vivere. Kōtake desidera rivedere il marito com’era un tempo, prima che perdesse la memoria, ricordare esattamente com’era lui sì, ma anche senza dubbio com’era lei, è il suo obiettivo, com’erano loro, eliminare un rimpianto e recuperarsi, non farsi modificare da quel dolore e quindi tornare modificata completamente.
Cos’è allora la felicità, sembra suggerirci questo libro che ha conquistato tutto il mondo, diventando un caso editoriale in questo anni così complessi che stiamo vivendo? Cos’è la felicità in un momento in cui non ci è concessa la consueta libertà, libertà di muoversi, di progettarsi, di amarsi, di viversi e di sbagliare? La felicità ci dice il testo, dove la semplicità diventa un’arte racchiusa in una piccola ricerca, è saper affrontare quello che attraversiamo con il cuore aperto e attento. La felicità è un atteggiamento, è lo sguardo e l’intenzione con cui si trasformano gli eventi che ci colgono con la loro forza, con il loro entusiasmo, con la loro tragicità, inaspettati e a volte anche indesiderati.
I personaggi di questo libro tornano nel passato con la consapevolezza di non poterlo modificare, ma ad essere modificati sono loro, il loro modo di ricordare, di vivere il presente, di immaginare il futuro…e un po’ lo siamo anche noi lettori, perché i libri ci insegnano proprio questo a rivivere il tempo e a poterlo trasformare, trasformando noi…

Finalmente ho capito”
Il presente non era cambiato per Kōtake, ma lei aveva proibito a tutti di usare il suo cognome da nubile e aveva cambiato il suo atteggiamento nei confronti di Fusaki. Sarebbe rimasta insieme a lui e avrebbe continuato a essere sua moglie, anche se era svanita dalla sua memoria. Hirari aveva abbandonato il suo bar di successo per tornare in famiglia, e mentre ricostruiva il rapporto con i suoi imparava da zero le usanze tradizionali della locanda.
“Il presente non cambia.”
La condizione di Fusaki non era cambiata di una virgola, ma Kōtake aveva imparato a godersi le conversazioni con lui. Hirari aveva perso la sorella, ma la foto che aveva mandato al caffè la mostrava felice e sorridente insieme ai genitori.
Il presente non era cambiato, ma quelle due persone sì. Kōtake e Hirari erano tornate nel presente con il cuore trasformato.
Kei chiuse dolcemente gli occhi.
“Ero così concentrata su ciò che potevo cambiare da dimenticare la cosa più importante.”[…]

Kei tornò dal futuro in lacrime. Ma era chiaro che non erano lacrime di tristezza.
Nagare emise un sospiro di sollievo e Kotake scoppiò a piangere.
Invece Kazu sorrise con una tale dolcezza che pareva aver assistito anche lei alla scena. “Bentornata a casa” le disse.
Il giorno dopo Kei si ricoverò in ospedale, e la primavera successiva diede alla luce una bambina sana.
L’articolo di giornale sulla leggenda metropolitana del caffè chiudeva così: “In fin dei conti, che uno torni nel passato o viaggi nel futuro, il presente non cambia comunque. E allora sorge spontanea una domanda: che senso ha quella sedia?
Kazu è ancora convita che, se vuole, la gente troverà sempre la forza di superare tutte le difficoltà che si presenteranno. Serve solo cuore. E se quella sedia ha il potere di cambiare il cuore delle persone, di sicuro un senso deve averlo.
Ma con la sua solita espressione imperturbabile, si limiterà semplicemente a dire: L’importante è bere il caffè finché è caldo”.